"Il vino è un valore reale che ci dà l'irreale"
Luigi Veronelli

giovedì 26 gennaio 2012

Quel vin de garage!

Ieri ho assaggiato un vino bianco delle Colline Novaresi, zona Boca, prodotto da un vero garagista, nel senso che di professione fa il meccanico e si diletta nel produrre vini davvero naturali per il consumo proprio e di qualche amico.

Penso si trattasse di Erbaluce annata 2010 ed è stata una folgorazione fin dal colore, giallo carico con riflessi persino ambrati ed attraversato da bagliori grigiastri, quasi plumbei, che ricordano le sue radici, l’humus dal quale proviene, le stagioni, i cieli ora tersi ora coperti da coltri di nubi che con il loro prezioso liquido vivificano la terra e danno ristoro dal calore del sole che ciclicamente la inonda.

Poi si passa al naso ed è un fiorire di fiori sfatti, di estivi ricordi di acre sepolcreto, un memento mori dal piglio crepuscolare, quasi decadente, ma mai minimalista, anzi, quasi una piena e vitale Danza Macabra, vigorosa nelle sue belle zaffate di petalo marcescente, di buccia gialla di mela lasciata ad esprimersi per ore sul bordo di un tavolaccio di cucina piemontese, libera di disegnare improbabili eppur così reali Correspondances con i più mediterranei mari d’Africa, con le assolate coste trapanesi, con il continuo lavorio dei tini del perpetuum, il cui “rancioroso” liquore non si può fare a meno di temperare con il dolce disciogliersi di un savoiardo; o di una madeleine.

Ed ecco, infine, l’assaggio, questo lento assorbire e riassorbire gli umori del terreno, del territorio che si infiltra nella pianta e si ridisegna nella polpa e nelle bucce, per poi raccontarsi carico di emozioni nel calice e, finalmente, sul nostro palato. Di nuovo i mari del sud con i loro caldi e volatili aromi, di nuovo la cotognata, la mela e la pera cotte che riscaldano i ricordi di bambino, la nonna col cucchiaino, le “buone cose di pessimo gusto” che tanto rincuorano di fronte al Babao della vita. E di nuovo si allunga, questo liquido benedetto, e ci ricorda che ancora è vivo, ancora sobbolle, ancora è in fermento e lo fa pungolando la lingua, le labbra, pizzicandole di finissima effervescenza che si impasta con una soave melassa, un richiamo zuccherino che sta lì, non alloctono ma indigeno, a ricordarci da cosa nasce quella vena luciferina che anima de’ grappoli il lieto sangue, / per cui la libera / gioia non langue, / che la fuggevole / vita ristora, / che il dolor proroga, / che amor ne incora.

Ed io non posso che ringraziare l’amico garagista e le sue alchimie, la sua superba e suprema arte del laissez faire, laissez passer che dovrebbe ispirare l’opera di ogni vero vigneron, il cui unico, solenne intento dovrebbe essere quello di far cantare il territorio, genuinamente e spontaneamente, disvelandolo nella sua purezza. Per sottrazione.

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