"Il vino è un valore reale che ci dà l'irreale"
Luigi Veronelli

martedì 17 marzo 2009

Da cosa partire?

L’ennesimo blog enoico.
Da tempo ci meditavo, senza riuscire a cogliere un valido motivo per lanciarmi in questa avventura.
Non che ora lo abbia realmente trovato, ma forse la mia impasse era dovuta al fatto che mi ponevo la domanda sbagliata.
Mi chiedevo, infatti, chi mai potesse aver voglia di leggere un altro foglio pieno zeppo di sciocchezze intorno ad un calice di vino.
Ebbene, compiendo una sorta di kantiana “rivoluzione copernicana”, alla fine ho compreso come il problema non stia tanto in “chi avrà voglia di leggere”, bensì in “cosa avrò voglia di scrivere”.
Un blog, è naturale, si scrive con l’ambizione che venga letto da qualcuno. Per una volta, però, mi piacerebbe creare una specie di villaggio sperduto in una terra della quale non è ancora stata tracciata la mappa; smarrirvi qualche messaggio e poi stare a guardare se, per sbaglio o per ventura, qualcuno ci si imbatterà.
Lo stimolo alla scrittura nasce, in fondo, da un’esigenza interiore, dalla necessità di confrontarsi con se stessi, con i propri pensieri e le proprie convinzioni; quella, ancora, di mettere a fuoco le proprie capacità, le attitudini, le idee, le ansie, le certezze, i dubbi.
Per poi – chi può dirlo? – riuscire, infine, a dialogare con “l’altro da sé”, con l’eventuale lettore che si dovesse scontrare con queste pagine lasciandovi un briciolo della sua ricchezza.
Senza, tuttavia, andarne in cerca; solo lasciando al caso il compito di scovare le affini elettività.

Ho scelto il vino perché, con la profonda valenza materiale e simbolica che ha rivestito nella nostra civilità, esso è forse l’elemento che meglio può fornire una base di partenza, un substrato condiviso sul quale costruire sensazioni che abbiano una comune oggettività.
Non è così con la poesia, con la letteratura, con l’arte; meravigliose invenzioni dell’umana spiritualità, esse sono purtroppo destinate ad una sorta di incomunicabilità di fondo, a restare in qualche modo chiuse in se stesse, raccolte nell’animo dell’autore, mentre chi ne legge o osserva l’opera può solo ancorarsi ad una flebile suggestione per poi incamminarsi verso percorsi interpretativi tutt'affatto personali.
Col vino non è così; esso è un elemento insieme terragno e spirituale, ciò che meglio riesce a richiamare gli atavici e comuni istinti che legano l’uomo alle sue radici, a quella Terra che, fecondata dal sole, si mostra come l’unico elemento capace di offrirgli una tangibile ragione del suo esistere.
Il vino è, insomma, simile ad una madeleine proustiana, ma dalla valenza “corale” più che individuale; pur nella diversità delle percezioni riguardo ai suoi caratteri, riesce comunque a creare un terreno, una matrice, un’atmosfera comune nella quale tutti possiamo riconoscerci, trovandovi una concreta possibilità di appagare quell’ansia di infinito che forse è solo il più essenziale dei nostri istinti.

Oppure, più semplicemente, mi sto come sempre illudendo che tutto questo abbia un senso; che in tutto questo possa non sentirmi solo.