"Il vino è un valore reale che ci dà l'irreale"
Luigi Veronelli

venerdì 24 aprile 2009

Morato, antica poesia laziale

Vi sono vini esclusivi nella loro originalissima e singolare personalità, che colpiscono per il carattere davvero insolito, unico, capace di regalare sensazioni dall’espressività o dall’intensità mai sentite altrove. Spesso si tratta di vini che provengono da aree insospettate, poco nominate nei “salotti” enoici che contano perché obiettivamente un po’ avare nel produrre con costanza vini di qualità eccellente. Eppure capita talvolta di imbattersi in fortunate eccezioni, vini in qualche caso non stilisticamente ineccepibili, forse privi di “infiocchettata” raffinatezza, ma capaci di emozionare, di smuovere qualcosa nello spirito, di irretire con una suggestione a cui è difficile sfuggire; eccezioni, insomma, che divengono regole di umana poetica.

V’è nel Lazio un produttore del quale troppo poco si sente parlare. Strade Vigne del Sole è, infatti, un nome che, insieme a quelli del cavalier Antonio e del figlio Alessandro Cugini, probabilmente non dice molto a chi è poco avvezzo con le cose del vino. La famiglia Cugini, però, coltiva le proprie viti almeno dai primi anni del XVIII secolo, una tradizione ben radicata sulle colline intorno a Grottaferrata, che si è tramandata di generazione in generazione fino ai nostri giorni.
Antonio Cugini, in particolare, è ben più di un vignaiolo; può esser definito “la memoria storica vivente” della viticoltura di questa zona, alla quale ha dedicato una sorta di “autobiografia bucolica” dal sintomatico titolo Vitae di un vignarolo, sull’onda dei ricordi di una vita e di un mondo ormai in gran parte perduto, ma del quale forse qualche sfumatura sopravvive, trovando rinnovato smalto nella nutrita schiera di rari vitigni che il cavalier Cugini ha conservato e preservato nei suoi vigneti.
Una sera a cena m’è capitato di imbattermi proprio in uno di questi, il tor de’ passeri(1), splendidamente rappresentato nel Morato Lazio Rosso dell’annata 2002. Si tratta di un antico vitigno laziale la cui riscoperta e valorizzazione è a buon diritto rivendicata proprio da Antonio Cugini, che ne racconta inoltre la storia nel suo libro.
Sembra che un tempo fosse particolarmente diffuso in alcuni vigneti posti nei dintorni di Marino nei pressi di una duecentesca torre chiamata Tor de’ Passeri. I terreni circostanti sarebbero stati suddivisi nel 1571 tra i reduci della battaglia di Lepanto da Marcantonio Colonna, come ricompensa per il valore mostrato in occasione dell’epico scontro navale che consentì verosimilmente all’Occidente di conservare intatta la propria identità per qualche secolo ancora. Antonio ha recuperato un tralcio di quest’antica uva, unico superstite dei soli cinque filari un tempo accuditi da suo padre che ne otteneva appena 500 litri di vino.
Varietà dal grappolo piuttosto corto, tondo e spalluto, con acino di media grandezza, bluastro, caratterizzata da maturazione abbastanza precoce, secondo Cugini il tor de’ passeri sarebbe a tutti gli effetti un vitigno autoctono della zona, a dispetto di quanti sostengono provenga invece dall’omonima località abruzzese.
In effetti per quanto ne so, o meglio per quanto ho appreso da alcune letture, il vitigno abruzzese originario di Torre de’ Passeri (o della conca Peligna) sarebbe piuttosto il montepulciano, uva un tempo confusa con il sangiovese, il quale a sua volta era in qualche caso confuso con il vitigno riscoperto da Cugini; insomma, potrebbe trattarsi dell’ennesimo circolo vizioso di omonimie e sinonimie che imperversa nelle italiche vicende enoiche.
Difficile, però, confondersi circa la reale identità del tor de’ passeri laziale non appena si infila il naso nel calice e se ne inspirano gli inconsueti profumi.
Da un vino dal colore rosso granata, con unghia lievemente aranciata, subito sgorgano nette ed insolite sensazioni di mandarino, presto incalzate da un sentore di idrocarburi che, forse un po’ fanciullescamente, mi piace chiamare “nafta nobile”, davvero molto intrigante, preziosamente fuso con un tocco di foglia d’alloro calda di sole ed adagiato su un fondo di more mature e dolcissime; in bocca ritorna il frutto di buona consistenza, insaporito da una speziatura ben pronunciata che punzecchia il palato ed avvolto da aromi di tabacco conciato e pellame; i tannini, ben evidenti ed appena amarognoli, mostrano discreta fittezza e si accompagnano ad un vezzo balsamico che si intreccia ad un ritorno idrocarburico in un finale dalla persistenza lunga e cangiante, di nuovo arricchita da suggestioni fruttate, di menta e di liquirizia.
Un vino ricco, complesso, con tanti e diversi argomenti da raccontare.

Forse a qualcuno potrebbe apparire carente di un pizzico di levigata eleganza; per quanto mi riguarda, è sicuramente riuscito a rapirmi con la profondità di una poesia antica: quella della terra, della sua storia e degli uomini che ancora continuano a rinnovarla.

(1) - Adotto la convenzione e consuetudine “veronelliana” di scrivere il nome dei vitigni con la lettera minuscola e quello dei vini, che ne sono l’espressione compiuta, con la maiuscola.


Morato Lazio Rosso Igt 2002
Vitigno: tor de’ passeri
Vinificazione: pigiatura soffice delle uve e fermentazione a temperatura controllata di 23°C per circa un mese, con rimontaggi continui; elevazione in legno per 48 mesi.

Azienda Strade Vigne del Sole – Via di Campovecchio, 45 – Località Valle Marciana – Grottaferrata (Roma)