"Il vino è un valore reale che ci dà l'irreale"
Luigi Veronelli

venerdì 11 dicembre 2009

Vini "veri" e "terroirisme"

Dilaga ormai prepotente la moda dei vini "veri","VinNatur", vini “naturali” ed affini.
Sempre più appassionati osannano i produttori che lasciano agio alla natura di esprimersi compiutamente nei loro vini, intervenendo il meno possibile in cantina, spesso vinificando con lo stesso protocollo sia i bianchi sia i rossi, utilizzando vasi vinari di materiali “ancestrali", quali anfore di terracotta e simili, evitando sempre l'aggiunta di qualsiasi "additivo" (lieviti selezionati, tannini, enzimi, solforosa, ecc., ecc.), il controllo della temperatura in fase fermentativa, le filtrazioni e tutto ciò che possa essere considerato come un innopportuno e pernicioso intervento umano in un prodotto che deve essere il più possibile "naturale".
In questo modo, sostengono molti degustatori ed enoappassionati à la page, il vino riesce ad essere veramente specchio del terroir, un prodotto unico e fortemente legato al territorio d'origine.
Ora, tralasciando produttori profondi ed ispirati che hanno fatto del loro alternativo "essere vignaioli" un'autentica scelta di vita e filosofia e che meritano, quindi, profondo rispetto (un esempio per tutti è quello di Josko Gravner, i cui vini, non a caso, sono tra i pochi della "nouvelle vague" capaci di suscitare autentiche emozioni), tali pratiche enologiche (anche se, considerati i presupposti, per i puristi di tale approccio l'enologia in quanto “tecnica” dovrebbe essere totalmente bandita dai processi produttivi) hanno come risultato finale non già il vino, bensì, lasciando fare tutto alla "natura", irrimediabilmente l'aceto (e neanche di quello buono).
Detto questo, occorre ancora osservare come bollare di faziosa artificiosità l’intervento umano nella produzione del vino significhi in realtà mutilare il concetto di terroir di uno dei suoi elementi più importanti, ossia dell’imprescindibile esperienza e sensibilità umana, che è la sola in grado di dare un senso al tanto abusato e per molti versi vuoto concetto di “tipicità” (concetto eminentemente storico e dinamico, giammai statico ed astorico).
Vi è, poi, un ulteriore aspetto da considerare. Come si diceva, infatti, si vuole che il modo di fare vino “naturista” o “naturalista” che dir si voglia sia quello migliore per dare la più genuina espressione alle caratteristiche uniche ed irripetibili del territorio; considerato che la stragrande maggioranza di questi vini (soprattutto i bianchi) è segnata da processi ossidativi più o meno spinti e che questi si traducono in sensazioni olfattive ed aromatiche sempre identiche e derivanti da poche molecole (peraltro sempre le stesse, a prescindere dal vitigno - anzi, persino dal frutto - utilizzato, dal clima, dall’ambiente e dalla pedologia del territorio d’origine), bisognerebbe in definitiva concludere che non v’è nulla di più omologato e standardizzato dei vini “naturali”, ovvero di quelli che ambiscono a presentarsi come gli autentici campioni del “terroirisme”.
Ma queste sono solo farneticazioni o provocazioni, volutamente “estremizzate” e polemiche, di un povero Etil Elitista (sebbene in buona compagnia, visto che anche l'esimio professor Luigi Moio la pensa più o meno allo stesso modo) e, quindi, su questi temi è forse più opportuno aprire il dibattito tra i pochi che hanno la benevolenza di leggere queste pagine virtuali, per tradurle in qualcosa di più vivo e reale.
Fatevi sotto e dite la vostra!