"Il vino è un valore reale che ci dà l'irreale"
Luigi Veronelli

lunedì 5 dicembre 2011

Noi siamo ancora qua.... Eh già...

In primo luogo voglio tranquillizzare i miei quattro lettori (come direbbe Guareschi, che però di lettori sosteneva di averne almeno venticinque), che ultimamente mi hanno chiesto conto della ormai prolungata inattività del blog: gli Etilelitisti sono vivi, vegeti e più in forma che mai (anche se qualcuno qualche problemino l’ha avuto, ora egregiamente risolto…).
Prova ne sia che, lo scorso 1° dicembre, ospiti del solito ottimo ristorante di Franco Bertoni, hanno messo in piedi una cenetta prenatalizia a base di cervo, abbinato a qualche bottiglietta varia e assortita.
In realtà, in questi lunghi mesi di apatia bloggistica (colpa mia, solo mia, completamente mia, che non ho mai tempo di applicarmici seriamente), un paio di incontri li abbiamo messi insieme: uno dedicato al Syrah (con uno strepitoso ed assai rodaneggiante St. Marsan Rosso 2001 dei Poderi Bertelli a stagliarsi abbastanza nettamente sopra la concorrenza, che tuttavia - va detto per amor di verità - non comprendeva nessun rappresentante francese) ed un altro tutto teso a celebrare le magnifiche sorti e progressive del nobile Chardonnay così come si eprime in tre diversi terroir italici (e qui la lotta è stata dura e serrata tra Löwengang 2006 di Lageder e Cuvèe Bois 2006 di Les Crêtes, con il primo – a mio personalissimo giudizio – a spuntarla di un pelo sul secondo, mentre come ghiotto contorno abbiamo messo in campo una mini-verticale di tutte le tre annate fino ad allora prodotte del Guardiola di Passopisciaro2007-2008-2009 – vino che amo particolarmente e che ha visto il mineralissimo millesimo 2008 prevalere un poco su un 2007 fattosi goduriosamente tropicaleggiante e su un 2009 all’epoca un filo trattenuto nella sua più piena espressività).
Con l’avvento di dicembre e dei primi freddi seri (che, in realtà, stentano un poco a venire), come detto abbiamo, però, deciso di dedicarci ad intingoli piuttosto solidi ed elaborati, che il buon chef Franco ha saputo prepararci con la consueta perizia.
La spalla di cervo, procurata per le solite vie traverse da Marchino nostro e cucinata da Franco in ben quattro preparazioni (tartare con scalogno, limone e aromi; arrosto con contorno di patate e pere saltate con zucchero; scaloppine con contorno di mirtilli; salmì con polenta), si è così vista affiancata da alcune bottigliette scelte da Micheluzzo-coiffeur e dal sottoscritto.
Inizialmente siamo partiti con in mente un tema preciso: “Parenti serpenti”, ovvero “Le dinamiche familiari nel mondo del vino: disfida tra vitigni cugini”. Tanto impegnativo proposito, tuttavia, è inesorabilmente evaporato subito dopo la scelta delle prime due etichette, ossia il Teroldego Rotaliano Diedri 1999 di Dorigati e il Südtiroler Lagrein Mirell 2004 di Plattner-Waldgries (Santa Giustina – Bolzano – secondo tornante sulla via che sale al Renon). Poi lo sguardo è caduto su un fiore che ci ha preso il cuore e ci ha rapito con la sua romantica poesia: il fiore che campeggia sull’etichetta del Kurni 2006 di Oasi degli Angeli, che così è stato immediatamente fatto abile e arruolato per la cena. Micheluzzo ha quindi insistito per provare un vino da lui acquistato direttamente dal produttore in occasione di un viaggio in terra umbra e la carta dei vini si è, dunque, arricchita anche del Sagrantino di Montefalco 2006 della cantina Lungarotti. Ormai completamente fuori tema, restavano da reperire un bianco per gli antipasti, un dolce per il dessert e magari, giusto per non farsi mancare nulla, un altro bel rosso stagionato. Presto fatto: un’occhiata a destra e per l’antipasto si è reclutato un pacioso ma vitale alsaziano, il Gewürztraminer Cuvée Caroline 2009 di Schoffit; un’occhiata a sinistra e per il dolce è saltato fuori il Moscato Rosa Pasithea 2005 della cantina Girlan (che con lo strudel di mele ci sta sempre bene); un’occhiata al centro e… ebbene sì! Caro babbo, anche stavolta ti tocca, il tuo contributo lo devi dare. Le due bottiglie residue del paterno Barbaresco 1973 di Gaja stavano lì di fronte ed una ha insistito per venire con noi. L’abbiamo accontentata…
Ma non facciamola troppo lunga e passiamo senza indugi a parlare dei vini, dei loro profumi e sapori, delle sensazioni suscitate.

Gewürztraminer Lieu-Dit Harth Cuvée Caroline 2009 – Domaine Schoffit
Profumatissimo di acqua di rose, spezie dolci e frutti tendenzialmente tropicali, sul palato si fa denso, corposo, suadente, con un delizioso residuo zuccherino ad addolcire il sorso, subito ripulito dall’acidità fresca ed insieme matura, che solo il clima e la luce di certe latitudini sanno dare.





Teroldego Rotaliano Diedri 1999 – Dorigati
Ci mette molto ad aprirsi, ma quando lo fa svela un naso ancora piuttosto integro, fruttato, lievemente vegetale e con un pizzico di minerale sul fondo, quasi una punta di grafite. In bocca, però, pur guadagnando in fusione ed espressività col passare del tempo, non riesce mai a convincere, con un’acidità un filo scomposta che resta sempre un po' scissa e sembra voler rimanere isolata per conto suo. Si sospetta una cattiva conservazione.




Südtiroler Lagrein Mirell 2004 – Plattner-Waldgries
Naso subito generoso e accattivante, si sente il frutto di bosco dolce, molto maturo, caramelloso. Poi attraversa diverse fasi, sembra farsi coprire eccessivamente da ellagici apporti vanigliati, non ancora ben digeriti; quindi si riapre di nuovo in tutta la sua ricchezza fruttata, ora, però, alleggerita da uno sbuffo balsamico e intrigante, quasi di felce. Sul palato il tocco vegetal-balsamico si avverte più netto e immediato, sempre assistito da un frutto assai maturo ma non cadente e da una tannicità fitta e serrata; rimane, comunque, ben presente la morbida speziatura del legno. Se il vino, di per sè, ha lasciato qualche discorso in sospeso, mirabile ed eccezionalmente riuscito si è invece rivelato l’abbinamento con le scaloppine di cervo ai mirtilli: la morbida carne di cervo regala dapprima la sua carezzevole tendenza dolce, adeguatamente bilanciata e rinfrescata non appena i denti spezzano la bacca di mirtillo e ne diffondono il succo sul boccone; il Lagrein arriva, dunque, a coronare il quadro con i suoi deliziosi richiami di mirtillo, le dolcezze e la fresca acidità, quasi a riassumere, riproporre e trascrivere su nuovi registri i sapori e le sensazioni tattili del cibo. Superbe!






Barbaresco 1973 - Gaja
Profumo cristallino, straordinario per finezza, eleganza, nitore, con una didascalica e affascinante rosa appassita. All’assaggio è ancora composto, ma non all’altezza del naso, si è un po’ spogliato del frutto, si è fatto magro e un filo scarno, con un’acidità appena pungente ma tannini, comunque, fusissimi, finissimi e setosissimi.
Di certo il ’73 non è stato né il ’71, né il ’78.
Al fianco dell’arrosto di cervo, patate e pere, però, davvero non è niente male, con quell’accenno di volatile appena suggerito, quasi sussurrato, che dona leggiadra agilità all’abbinamento.





Sagrantino di Montefalco 2006 - Lungarotti
Apre un po’ sporco al naso: azzardo un olio lubrificante, di quello che si usa sulle macchine per cucire, ma come incrocio lo sguardo di Micheluzzo ritratto tutto con vigliacca codardia. In effetti, però, arieggiandosi si pulisce bene e tira fuori la classica ed intensa nota di mora di rovo e la bella speziatura. In bocca, che dire? È Sagrantino, si sente e non lascia dubbio alcuno: tannicità sopra le righe, densa, robusta, fittissima e astringentissima; e pensare che quella di Lungarotti è una delle interpretazioni più gentili di questo ispido vitigno. Occorre necessariamente accompagnarlo al cibo, occorre mettere subito qualcosa sotto i denti; ed il cervo in salmì è lì, perfettamente adatto alla bisogna.






Kurni 2006 – Oasi degli Angeli
La solita grande massa estrattiva e le solite eccezionali concentrazione ed intensità. Il 2006 è, però, molto più giocato sulla dolcezza fin quasi zuccherina rispetto al 2004, annata che, si ricorderà, si era assaggiata in altra occasione. Certo, come sempre nel Kurni c’è dentro di tutto e di più, ma questa volta raccontato in chiave più sciropposa. Anche i tannini sono sempre belli solidi e l’acidità interviene puntuale a dare opportuna freschezza. A mio modestissimo giudizio, necessita ancora di lavorare parecchio in bottiglia per comporsi e ricomporsi al meglio. Inutile dire che i quattro formaggi proposti in abbinamento (Pecorino un po’ giovane, Castelmagno, un erborinato sempre della zona del Castelmagno e un Canestrato pugliese - e accidenti a me che non prendo mai nota del nome preciso dei formaggi!) hanno fatto molta, molta, molta fatica a reggere il passo. E alla fine, infatti, non l'hanno retto.



Moscato Rosa Pasithea 2005 - Girlan
Dopo il Kurni risulta decisamente penalizzato, ma è ben fatto, bello fragrante, profumato, floreale, di garbata dolcezza ed un pizzico di suggestione linfatica che regala una nota vibrante. Con lo Strudel ci sta che è una meraviglia.






Quali conclusioni trarre, in sintesi, da tutto ciò?
I vini nell’insieme hanno mostrato lati positivi e qualche imprecisione, alcune leggerezze o cedimenti e un po’ di esuberanze: chi era ottimo al naso e meno preciso sul palato; chi, viceversa, era appagante e calibrato al sorso, ma meno intenso o nitido nei profumi.
Nessuno, ad essere sinceri, è riuscito a dare piena soddisfazione a 360°.
Per questa volta dobbiamo proprio rendere il giusto merito allo chef e riconoscere a Franco che i suoi piatti hanno davvero colpito ed entusiasmato più dei vini.



 
E adesso, se qualcuno di quei soliti quattro lettori (o di quegli altri sette oltre a me presenti al tavolo) ha qualcosa da dire, parli ora o taccia per sempre.
Intervenite, gente, intervenite…