"Il vino è un valore reale che ci dà l'irreale"
Luigi Veronelli

venerdì 5 marzo 2010

26 febbraio 2010 - La goduriosa cenetta

La serata non è stata certo spesa invano.
L’occasione, del resto, era ghiotta: in perfetto stile “Etilelitisti”, abbiamo assaggiato quattro dei migliori vini italiani (e lo scrivo senza falsi pudori e ipocrite mistificazioni ideologiche).
Quattro vini diversi per tipologia, provenienza, stile, ma tutti accomunati da un’originalità, una personalità ed una qualità fuori dal comune.

Ma andiamo con ordine. La cena si è svolta presso il Ristorante di Franco Bertoni, a Lonate Pozzolo, simpatico e bravissimo chef che, con la moglie-sommelier Daniela, ci ospita ormai da qualche tempo per i nostri incontri eno e gastronomici, imbastendoci menu a richiesta e, soprattutto, consentendoci di portarci da casa tutti i vini che vogliamo.
Per il nostro incontro ci ha preparato un antipasto a base di fagianella (petto su letto di insalatina, rucola e melagrana, coscette con salsa verde e “scaglie” di uova sode e paté di fegatini su crostone di pane), al quale abbiamo ovviamente abbinato il mitico Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 2000, in assoluto il miglior Metodo Classico italiano; un vino che, ad ogni uscita, non tradisce mai le aspettative. Un Blanc de Blancs da sole uve chardonnay che, nella splendida versione 2000, non sfigurerebbe di certo nemmeno di fronte ad un grande Champagne (e, credetemi, io non sono certo uno prodigo di paragoni e confronti benevoli tra gli spumanti italiani e gli effervescenti nettari francesi). Ma com’è il nostro amico Giulietto? Beh, sfoggia una grande armonia e complessità, con naso di lieviti, pan-brioche, vaniglia, frutta tropicale, speziatura sottile e fresche suggestioni di scorza d’agrume grattata. Sul palato è ricco, unisce grande dolcezza di frutto, acidità fresca e fragrante, sbuffi balsamici, struttura e consistenza, il tutto con eleganza, raffinatezza e superlativo garbo.

Siamo, quindi, passati ai piatti forti, ovvero costolette di cinghiale e spezzatino di cinghiale con polenta. Piatti saporiti, ricchi e strutturati, scelti per reggere il confronto con tre autentici mostri di intensità e struttura (anche se, almeno in un caso – e lascio a voi immaginare quale – si sono forse dimostrati fin troppo esili; e non certo per demerito del cuoco, quanto, piuttosto, per “eccesso di merito” da parte del vino).
La signora Daniela ha, infatti, offerto a ciascuno degli etil(molto)elitisti(ancora per poco) tre calici, che subito si sono riempiti della densa e coloratissima materia di tre vini dalla personalità ben distinta, ma tutti davvero grandi.

Il Terra di Lavoro 2006 di Galardi, 80% aglianico e 20% piedirosso coltivati sulle vulcaniche pendici del Roccamonfina, si mostra in una veste rubino intensa e brillante, (anche se risulterà il meno colorato – si fa per dire!!! - dei tre rossi della serata). Al naso ci sono una fragranza ed eleganza minerale che emergono con classe e regalano un’eccezionale finezza. In bocca spiccano i tannini vivi, giovani, irruenti, ma davvero fittissimi, che si distendono in una serratissima progressione, avvolti da un frutto dolce, integro, maturo. Bella densità e dolcezza del frutto, ma insieme notevole fragranza dettata dalla meravigliosa vena minerale. Raffinato, armonioso, estremamente composto, si racconta con straordinaria misura, pienezza e completezza, senza mai gridare o esibirsi in pose sfacciate.

Il Pignolo 2003 di Moschioni sfodera un colore rubino profondo con leggerissima unghia granata. La carica fruttata è generosissima, la speziatura ricca, dinamica, dà volume e ampiezza al profumo insieme ad una nota di tabacco bella aromatica. Ma il frutto è davvero maturissimo, addirittura surmaturo, riscaldato da un lieve tocco floreale dolce. In bocca è denso, glicerinoso, morbido, con tannini che inizialmente, immersi in tanto frutto, sembrano piuttosto rotondi, ma che col tempo si fanno esuberanti, appena graffianti e forse un poco verdi, ma rimangono, comunque, ben avvolti da una sostanza ricchissima e sontuosa; molta vivacità è, invece, data dall’acidità viva e dalle spezie consistenti, quasi pepate. Sul finale emerge anche un leggero tocco silvestre e quasi di carbone.

Del Kurni 2004 di Marco Casolanetti – pardon! – di Oasi degli Angeli che dire? Un Montepulciano dal colore di una fittezza ed impenetrabilità incredibili, rubino concentratissimo con riflessi… o mio Dio!… decisamente NERI!?!? Al naso è uno sciroppo di more, ribes, visciole, con un tocco balsamico netto, mentolato, resinoso… sì, è proprio resina di cedro del Libano, intensa ed ammaliante. Poi esce la radice, la liquirizia… se non rischiassi di apparir sacrilego, direi quasi un ricordo di caramella Pip – ricordate? ma la Perfetti la fa ancora? – la “Pip Fumatore” tanto in voga negli anni Settanta; in altre parole, una sensazione di menta, liquirizia, ma ancor di più, un insieme di sbuffi balsamici insistenti, un intrigante tocco di grafite: insomma, una vera enciclopedia degli aromi. Passiamo all’assaggio e certo le sorprese non finiscono. In bocca entra dritto e diretto, poi si allarga, si allarga, si allarga e non si ferma più. Progressione imponente, impressionante, di frutta, spezie; ancora incredibilmente giovane, vigoroso, irruente, ma i tannini sono fittissimi, serratissimi, una vera e propria palizzata, attraversata, però, quasi magicamente per trovarvi al di là un vino materico, terragno, denso, avvolgente; anche in bocca ritorna l’idea di resina e balsami, che si protendono in una persistenza incredibile. Mi accorgo ora, però, che ho raccontato almeno due ore di continua progressione ed evoluzione: non è, infatti, rimasto fermo un solo momento nel bicchiere!

A fine serata, dalla cantina del ristorante è spuntata anche una bottiglia di Passito di Pantelleria Ben Ryè 2007 di Donnafugata. È un ottimo vino per il quale, ai miei esordi enoici, letteralmente impazzivo e che anche ora non mi dispiace per niente, con la sua caratteristica nota di albicocca e la sua ben calibrata dolcezza, ma ultimamente tendo a catalogarlo tra i vini un po’ di maniera, dai quali non riesco più a trarre le emozioni e le novità di un tempo. Saranno cambiati i miei gusti, si saranno evoluti o, magari, involuti; o forse sono solo gli echi del Kurni che hanno spento anche la sicura voce di questo Passito.

Per trarre qualche conclusione, se proprio occorre farlo, bisogna riconoscere che il Kurni è sempre un vino che sembra porsi in una dimensione “altra”, decisamente fuori da ogni possibile catalogazione o comparazione con qualsiasi cosa che non sia se stesso: non è semplice ed altèra “superiorità”, quanto piuttosto “diversità” ed assoluta “unicità”. Il Giulio Ferrari è, invece, una felicissima conferma, peraltro decisamente in annata di grazia. Il Pignolo di Moschioni è un vino godibilissimo, sontuoso, “tanto”, piaciuto moltissimo a tutti i miei commensali, anche se a me ha lasciato un’impressione un pizzico “rustica”, dovuta forse a quei tannini non perfettamente fusi, probabilmente figli dell’annata estrema e della surmaturazione in annata già caldissima. La vera nobiltà, però, quell’incedere deciso che deriva dalla sicurezza di sé e del proprio valore che è segno distintivo dei fuoriclasse autentici, personalmente l’ho ritrovata nel Terra di Lavoro, che non saprei descrivere in altro modo se non immaginando un ritratto del Tiziano, dalla cui compostezza traspare uno scalpitante mondo di emozioni.

È stato, quindi, vizio? Perdizione? Sodoma e Gomorra? Armageddon? Forse, molto semplicemente, solo uno dei tanti piccoli pezzetti di Paradiso che, messi tutti insieme, raccolgono la pienezza della vita.


Trento Brut Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 2000
Vitigno: chardonnay
Vinificazione: viene elaborato partendo da un vino base vinificato completamente in acciaio; dopo la presa di spuma in bottiglia, si affina sui lieviti per un periodo prossimo al decennio.

Colli Orientali del Friuli Pignolo 2003
Vitigno: pignolo (antica varietà friulana salvata dall'estinzione a partire dalla fine degli anni Settanta).
Vinificazione: le uve vengono raccolte surmature e quindi vinificate in tini di legno con la sola presenza di lieviti indigeni. Il vino viene, poi, elevato per 15 mesi in barriques nuove e si affina per altri 6 mesi in bottiglia.
Moschioni - Località Gagliano - Via Doria, 30 - Cividale del Friuli (Udine)

Kurni Marche Rosso 2004
Vitigno: montepulciano
Vinificazione: le uve sono coltivate in vigneti dalla densità prossima a 15.000 ceppi/ha, con l'incredibile resa di appena 150-200 grammi/ceppo. Il mosto viene vinificato in acciaio ed in botti di legno da 4 hl. Successivamente il vino viene elevato in barriques nuove al "200 %", ovvero sosta per 10-11 mesi in barriques nuove di rovere di diversa provenienza e viene, quindi, travasato in altre barriques nuove, dove resta ancora per 10-11 mesi.

Terra di Lavoro Roccamonfina Rosso 2006
Vitigni: 80% aglianico, 20% piedirosso.
Vinificazione: il mosto fermenta con macerazione sulle bucce di 20 giorni e frequente affondamento del cappello. La malolattica è svolta in acciaio ed in seguito il vino passa in barriques nuove di rovere francese dove si affina per 10-12 mesi, seguiti da un ulteriore periodo di 10 mesi in bottiglia.

Passito di Pantelleria Ben Ryè 2007
Vitigno: zibibbo (moscato d'Alessandria)
Vinificazione: Lo zibibbo viene coltivato in 11 diverse contrade di Pantelleria. Le prime uve raccolte, vendemmiate a partire da metà agosto, sono destinate all’appassimento naturale al sole e al vento per 20-30 giorni. A settembre si raccolgono, invece, le uve da lavorare fresche, da cui si ottiene un mosto al quale, durante la fermentazione, si aggiunge in più riprese l’uva passita sgrappolata a mano. Il vino matura almeno 4 mesi in vasca d’acciaio e 6 mesi in bottiglia.